Escursioni e itinerari in Giappone

Tra i dintorni di Nikko

Dintorni di Nikko, GiapponeSebbene sia difficile immaginare che i giapponesi di oggi si perdano nella composizione di poesie d’amore da dedicare all’amata e all’amato ammirando aceri rossi, tuttavia ho potuto constatare che il momijigari mantiene inalterato il suo fascino. Bombardata da pubblicità, televisive e non, e dai racconti entusiastici degli amici, ho voluto partecipare all’evento e ho deciso di passare un’intera giornata a Nikko, che da Tokyo è il posto più vicino, e più celebre, per rimirare i momiji.

Nikko è una piccola cittadina a nord di Tokyo, nella prefettura di Tochigi. Vi arrivo di Domenica mattina presto, e ad accogliermi trovo una fitta nebbia, perfettamente in tono con l’atmosfera autunnale. Siamo alla seconda domenica di novembre e sembra essere questo il periodo ideale per esplorare la zona, almeno a giudicare dal numero di turisti, non solo giapponesi, che affollano il centro cittadino. Ma le attrazioni di Nikko sono più su, sulle montagne, dove, dal basso, a causa della nebbia, non vedo altro che minuscoli sprazzi di verde. Di rosso, ancora nulla. Basta prendere il bus turistico, però, per cambiare completamente scenario.

In effetti, il momijigari non è l’unica attrazione turistica di queste parti, soprattutto per gli stranieri che della cultura giapponese non ne hanno che un’idea piuttosto vaga. Ciò che li porta in cima alla montagna è un complesso di templi scintoisti che, per l’importanza artistica e culturale che rivestono, sono stati inseriti dal 1999 nel registro dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, conquistando così notorietà a livello mondiale. Toshogu, Rinnoji e Futarasan sono i nomi dei templi, e splendida è la cornice nella quale sono inseriti. Immersi nel bosco come sono, facilmente raggiungibili a piedi ma lontani dal centro abitato, circondati solo dal sacro silenzio della foresta, i templi rappresentano in maniera esemplare la fusione dell’uomo con la natura, tipica della dottrina scintoista. L’intervento dell’uomo non deve sciupare la perfezione della natura circostante, ed è per questo che i templi sono costruiti interamente in legno. Di solito, poi, il legno viene lavorato grezzo, così che i templi conservano una tinta, e un aspetto, completamente naturali.

Sorprende in particolare il tempio Toshogu, che dei tre è il più importante. Costruito nella prima metà del 1600, conserva i resti di Tokugawa Ieyasu, fondatore dell’omonima dinastia che regnerà sul Giappone fino alla seconda metà dell’800. Il tempio è un’esplosione quasi barocca di fregi, di intagli, di colori, così diverso da quanto si vede di solito nell’arcipelago giapponese che tradisce, a prima vista, una chiara origine cinese. Draghi, fiori, foglie, decorazioni astratte: la ricchezza dei fregi è tanta che sembra di essere davanti all’esuberanza di uno scultore sudamericano, più che in un solenne santuario giapponese. Sono inoltre in pochi a sapere che è qui che si trovano le tre scimmie sagge (in Giapponese sanzaru, oppure sanbiki no saru), scolpite in uno dei fregi della scuderia dei cavalli sacri del santuario: non vedere il Male, non ascoltare il Male, non pronunciare il Male: l’immagine delle tre scimmiette, che si tappano rispettivamente occhi, orecchie e bocca, appartiene ormai all’immaginario popolare, persino occidentale, anche se difficilmente si sarebbe potuto immaginare che la loro origine fosse religiosa, perlopiù orientale.

Gironzolare per il complesso monumentale è un’ottima occasione per andare a caccia di foglie rosse, visto che di caccia vera e propria si tratta. E’ piuttosto significativo il fatto che la parola stessa momijigari, dove gari sta per “kari”, che significa appunto “andare a caccia di qualcosa”, suggerisca che gli amati alberi vanno cercati con pazienza, per scoprirli poi anche negli angoli più impensati. Nel momijigari, quindi, la natura, ancor prima che contemplata, va prima di tutto esplorata, scoperta poco a poco, fino al ritrovamento dell’agognato tesoro. Seguendo il percorso turistico prestabilito che porta da un tempio all’altro, effettivamente i momiji sbucano dai ponti, dall’alto di una piccola collina, o accanto ai torii, le porte sacre, con un effetto sorpresa che rende ancor più accattivante il gioco cromatico delle pennellate rosse sul fondo verde del bosco di conifere. Tutti indugiano tra scatti fotografici e bancarelle colme di talismani a buon mercato per turisti, mentre qualcuno prova a riprodurre su carta i complicati ghirigori del Toshogu e altri si ristorano con una tazza di tè verde. I bambini vestiti a festa si rincorrono nei loro piccoli kimono, rossi anch’essi. L’atmosfera è quella tranquilla, eppure allegra, del più classico dei matsuri, le tradizionali feste nipponiche che si svolgono di solito nei templi e attirano e coinvolgono tutta la popolazione.

Non mi è difficile immaginare che, un tempo, le abitudini dei giapponesi potessero essere straordinariamente simili, nobili come i Tokugawa, che qui hanno deciso di lasciare l’impronta indelebile del loro passaggio nella storia di questo Paese, o semplice gente comune, poco importa. Lo spettacolo ha inizio e fine, ma in mezzo c’è molto più di un niente, se persino il grande maestro Basho, universalmente riconosciuto come il più abile autore di haiku, ha trovato nell’autunno una delle sue fonti di ispirazione. Questi sono i versi che ci ha lasciato: “Sono arrivato fino a qui – senza morire – e finisce l’autunno”.
 

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