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I suiseki

I suiseki I suiseki sono delle piccole pietre, piccole tanto da poter essere tenute nel palmo di una mano, o almeno da poter essere trasportate con facilità. Il nome suiseki è il risultato dell’unione di due parole giapponesi, sui (acqua) e seki (pietra), e deriva dall’usanza di appoggiare le pietre su vassoi di legno riempiti di acqua. Il termine suiseki indica delle pietre formatesi naturalmente, raccolte ed ammirate per la loro bellezza e per la loro capacità di evocare per forma e colore elementi presenti in natura o strettamente legati al mondo naturale. La maggior parte dei suiseki ricorda montagne, scogliere, isole, paesaggi lacustri, cascate o animali.

L’usanza di collezionare i suiseki è antica come antica è la storia di una delle civiltà più importanti del mondo, quella cinese. In Cina le pietre modellate naturalmente in forma di “paesaggi in miniatura” erano assai apprezzate già da duemila anni fa e le delegazioni cinesi in visita in Corea e in Giappone portavano come doni ufficiali proprio questi insoliti oggetti. L’abitudine di collezionare le pietre divenne popolare così anche in Giappone, dapprima tra le classi agiate e poi, solo più di recente, anche tra la gente comune, ed è proprio tramite il Giappone che si è poi diffusa in tutto il mondo.

Sebbene le pietre in Giappone abbiano avuto un immediato successo, è stato con il buddismo Zen che l’arte dei suiseki è diventata quella che ancora oggi conosciamo. Le pietre “paesaggio in miniatura” rispondevano a quei criteri estetici di austerità e rigore tipici della scuola Zen, e furono adottate come arredamento caratteristico della sala usata per la celebre cerimonia del tè, insieme ai bonsai, alle complesse composizioni floreali chiamate ikebana e a pochi altri oggetti di straordinaria sobrietà. Sotto l’influsso del buddismo Zen, che diede impulso a tutte le arti, comprese pittura e calligrafia giapponese, la tecnica di utilizzare le pietre per rappresentare in modo pressoché perfetto delle scene naturali raggiunse il suo apice con la creazione dei karesansui, giardini composti unicamente di sabbia e rocce. L’esempio più nobile di questa arte è il giardino del Ryoan-ji, uno dei più bei templi buddisti del Giappone, che è ancora possibile ammirare nella città di Kyoto.

Questo senso di comunione con la natura è ricorrente in tutto quanto è stato elaborato, e conservato secondo canoni ben precisi, dal pensiero Zen. Anche la cerimonia del tè risponde a scrupolose regole e assistervi è ancora un’esperienza affascinante. L’austerità dell’ambiente, la complessità dei gesti, l’arredamento minimale infondono, a chi vi partecipa, tranquillità e serenità. I suiseki, bonsai e ikebana sono stati adattati a questo ambiente con lo scopo di suggerire, ancora una volta, l’importanza che ha la natura nella comprensione dell’universo. I suiseki vengono selezionati per il loro forte potere evocativo, che deve comunicare a chi li osserva la molteplicità della natura nella sua interezza. Se colore, forma e qualità della pietra, a una prima occhiata, vengono sicuramente valutati, sono poi le sensazioni che la pietra trasmette a fare di questa un oggetto adatto allo scopo.

Wabi, sabi, shibui e yugen, così si chiamano i criteri che la pietra deve possedere per diventare un oggetto di culto. Definire questi termini in modo esaustivo è estremamente difficile, e a detta di molti solo la poesia riesce ad esprimerli in modo soddisfacente. Se wabi è spesso definito come malinconia, sabi riassume un senso di maturità e solitudine. Se shibui può indicare l’eleganza e la raffinatezza, yugen rappresenta invece l’oscurità e il mistero. Valutare la pietra seguendo questi concetti è compito assai difficile, e in ogni caso la gamma di sensazioni che la pietra rivela può, e anzi deve, essere determinata anche dall’esperienza personale, e quindi soggetta alla valutazione e all’interpretazione individuale. Insomma, al di là della schematizzazione estetica, l’arte di saper scegliere un suiseki è l’arte di saperlo guardare. La bellezza e l’armonia della natura sono tali solo se solo chi osserva coglie la precisa essenza delle cose.

Ciò che è più importante è che il suiseki è un dono della natura, che dalla natura è stato scolpito, mutato, forse anche maltrattato e che della natura conserva tutto, anche le ferite. Così, la forma deve essere armonica ma non necessariamente precisa, il colore lo si preferisce smorzato e le ruggini, le venature, le fessure, le spaccature devono essere mantenute, e anzi spesso sono proprio queste a fare di un suiseki una vera opera d’arte. Le imperfezioni della pietra suggeriscono, infatti, agli occhi di chi ha imparato a guardare, che anche la pietra, che con la sua robustezza e solidità alle intemperie sembra destinata all’immutabilità, è invece volubile, arrendevole all’influsso del tempo. Insomma, che come tutte le cose è destinata a alla transitorietà e all’evanescenza, e quindi a disintegrarsi e scomparire. Come per tutte le arti giapponesi, quindi, anche nei suiseki cogliere la bellezza significa cogliere l’oggetto nell’attimo in cui lo si guarda, ed è proprio la sua precarietà a renderlo ancora più prezioso.

Le persone che, nel mondo, hanno imparato a guardare la natura attraverso i suiseki sono molte, e si spera che tante ne apprezzino il fascino e la storia. Anche se, infatti, i suiseki sono ora oggetti da collezione e, come tali, vengono scambiati, barattati, prezzati e venduti attraverso associazioni, riviste specifiche e persino attraverso il web, tutto ha inizio con la ricerca meticolosa e entusiasta di chi, i suiseki, sa come e dove cercarli. Chi non ha perso l’interesse in un contatto vero e diretto con il paesaggio naturale che lo circonda. E che magari, del Giappone, ha conosciuto qualcosa in più degli altri.

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